Spesso mi si chiede se sia o meno lecita la commercializzazione in territorio italiano
dei "modchip" che, applicati alle consolle di gioco, consentono l'uso delle stesse in modalità diverse da quelle preimpostate dal produttore.
La normativa di
riferimento è costituita dall'art. 171 ter co. 1 lett. f-bis)
L.D.A., secondo cui “è punito, se il fatto e' commesso per uso non
personale, con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da
cinque a trenta milioni di lire chiunque per trarne profitto:
fabbrica, importa, distribuisce, vende, noleggia, cede a qualsiasi
titolo, pubblicizza per la vendita o il noleggio, o detiene per scopi
commerciali, attrezzature, prodotti o componenti ovvero presta
servizi che abbiano la prevalente finalita' o l'uso commerciale di
eludere efficaci misure tecnologiche di cui all'art. 102-quater
ovvero siano principalmente progettati, prodotti, adattati o
realizzati con la finalita' di rendere possibile o facilitare
l'elusione di predette misure. Fra le misure tecnologiche sono
comprese quelle applicate, o che residuano, a seguito della rimozione
delle misure medesime conseguentemente a iniziativa volontaria dei
titolari dei diritti o ad accordi tra questi ultimi e i beneficiari
di eccezioni, ovvero a seguito di esecuzione di provvedimenti
dell'autorita' amministrativa o giurisdizionale”.
La fattispecie penale
sopra richiamata è stata più volte interpretata dalla Corte di
Cassazione Penale in senso sfavorevole alla libera
commercializzazione dei dispositivi “modchip”.
E' necessario, prima di
esaminare il contenuto delle sentenze di legittimità più rilevanti
in materia, ricordare che i processi di cassazione si sono
incardinati a seguito di pronunce rese da vari tribunali e corti
territoriali.
A causa della infelice
formulazione della norma incriminatrice (l'uso di aggettivi nella
redazione delle norme è sempre causa di controversie
interpretative), tali sentenze di primo e secondo grado si fondano su
perizie tecniche finalizzate ad accertare se il modchip abbia o meno
“prevalente” finalità di eludere le MTP (misure tecnologiche di
protezione).
Laddove, infatti, non si
riscontrasse sotto il profilo tecnico la prevalente finalità elusiva
del dispositivo di modifica, non sarebbe configurabile alcun reato.
Di tali perizie, alcune
asseverano in maniera apodittica la prevalente attitudine elusiva del
dispositivo di modifica, altre, invece, deducono la finalità elusiva
in base all'argomentazione secondo cui l'esistenza del blocco
hardware della consolle di gioco dimostra la volontà del produttore
di consentirne l'utilizzo con i soli videogiochi supportati, ed
essendo quest'ultimo l'unico utilizzo consentito, ogni dispositivo
progettato per ampliare o modificare le funzionalità della consolle
deve essere considerato ricompreso nella descrizione della
fattispecie di cui all'art. 171 ter, co. 1, lett. f-bis L.D.A..
La devoluzione a tecnici
del giudizio sul disvalore del comportamento di produttori e
commercianti di “modchip” comporta l'inevitabile conseguenza
dell'incertezza dell'esito della causa. Non tutti i periti, infatti,
potranno sempre trovarsi d'accordo sulla “prevalente” attitudine
elusiva di un determinato dispositivo elettronico.
Diversamente
argomentando, con quattro pronunce conformi, la Corte di Cassazione
ha ritenuto illecita la commercializzazione dei modchip (Cass. Pen.,
III, n. 33768/2007; Cass. Pen., III, n. 23765/2010; Cass. Pen., III,
n.8791/2011; Cass. Pen., III, n. 35469/2012).
In particolare, la
Suprema Corte ha ritenuto che “rientrano nella fattispecie penale
prevista dalla L. 22 aprile 1941, n. 633, art. 171 ter, comma 1,
lett. f bis). tutti i congegni principalmente finalizzati a
rendere possibile l'elusione delle misure tecnologiche di
protezione apposte su materiali od opere protette dal diritto
d'autore, non richiedendo la norma incriminatrice la loro diretta
apposizione sulle opere o sui materiali tutelati.
Secondo le argomentazioni
della Cassazione, le "misure tecnologiche di protezione" (o
MTP) si sono aggiornate ed evolute seguendo le possibilità, ed i
rischi, conseguenti allo sviluppo della tecnologia di comunicazione,
ed in particolare della tecnologia che opera sulla rete. Tale
evoluzione dei sistemi di protezione ha portato i produttori di
software e videogiochi ad elaborare sistemi complessi, orientati ad
operare in modo coordinato sulla copia del prodotto d'autore e
sull'apparato destinato ad utilizzare quel supporto. La consolle,
quindi, pur essendo una mera componente hardware, costituisce il
supporto necessario per far "girare" software originali,
divenendo una parte fondamentale di un meccanismo di protezione che
si completa con apposite istruzioni presenti nel software.
La qualificazione
giuridica della consolle alla stregua di “MTP” ha consentito alla
Corte di Cassazione di affermare il principio secondo cui
“l'introduzione di sistemi che superano l'ostacolo al dialogo tra
consolle e software non originale ottengono il risultato oggettivo
di aggirare i meccanismi di protezione apposti sull'opera protetta”.
Una siffatta
argomentazione, tuttavia, non può prescindere, sotto un profilo
logico, dall'esame della struttura e delle specifiche funzionalità
delle consolle di gioco.
In particolare, tali
dispositivi hardware possono essere considerati alla stregua di
componenti di un sistema complesso di MTP solamente ove fossero
utilizzabili esclusivamente per “leggere” videogiochi. Se,
infatti, le consolle potessero essere utilizzate anche per altre
funzioni, i chip di modifica perderebbero il requisito della
“prevalente funzionalità elusiva” delle MTP, divenendo strumenti
utili allo sfruttamento di un sistema hardware che è in tutto e per
tutto identificabile come personal computer.
E', quindi, di
fondamentale importanza compiere un preventivo esame tecnico della
consolle per verificare se sia “aperta” ad utilizzi diversi dal
videogioco.
Secondo la Cassazione,
tale verifica si può eseguire esaminando i seguenti elementi: il
modo in cui la consolle è importata, venduta e presentata al
pubblico; la maniera in cui la stessa è configurata; la destinazione
essenzialmente individuabile nell'esecuzione di videogiochi come
confermata dai documenti che accompagnano il prodotto; il fatto che
alcune periferiche, quali tastiera, mouse e monitor, non sono fornite
originariamente e debbono eventualmente essere acquistate a parte.
Dimostrando in giudizio
la sussistenza degli elementi qualificanti del dispositivo
propriamente identificato come “consolle di gioco”, le imprese
produttrici riescono quasi sempre ad avvalersi di provvedimenti
giudiziali che inibiscono la commercializzazione in territorio
italiano dei “modchip”, ottenenendo l'irrogazione di sanzioni
penali e civili nei confronti dei soggetti ritenuti responsabili del
reato di cui all'art.171 ter, co. 1, lett. f-bis L.D.A..
Non è, tuttavia,
condivisibile l'assunto in base al quale le c.d. “consolle” hanno
funzioni esclusivamente videoludiche.
Una delle principali
imprese produttrici di tali dispositivi, la Sony Computer
Entertainment Europe Ltd., ha sostenuto con successo una tesi
antagonista nella causa T-243/01 davanti al Tribunale di Primo Grado
della Comunità Europea, Sez. III, che con la sentenza n. 243 del 30
settembre 2003 ha statuito la natura di personal computer della nota
consolle PlayStation 2.
C'è da osservare, per
inciso, che la controversia riguardava l'assoggettamento
dell'importazione in UE del dispositivo alla tariffa doganale, e che
la qualificazione della consolle PlayStation 2 alla stregua di
personal computer ha consentito alla Sony di evitare il pagamento
della tariffa stessa, che sarebbe stato sicuramente dovuto (e molto
oneroso) se la consolle fosse stata qualificata come mero
“videogioco”.
La complessa sentenza del
Tribunale di Primo Grado CE si fonda sulla considerazione che la
struttura e la logica costruttiva di una consolle sono le stesse di
un qualsiasi calcolatore, osservando, sulla scorta delle
argomentazioni portate dalla difesa della Sony, che le funzionalità
dell'elaboratore vengono implementate dal tipo di archivio dati di
volta in volta trattato.
Una consolle può,
quindi, indifferentemente essere utilizzata con archivi dati utili
per eseguire calcoli matematici, ovvero con archivi dati destinati
alla rappresentazione di giochi, perchè è un vero e proprio
elaboratore elettronico.
In altre parole, la
consolle altro non è se non un elaboratore elettronico dotato di
processore centrale, memoria RAM, dispositivi di memoria di massa,
uscite video, collegamenti per periferiche; ciò che caratterizza la
sua funzione videoludica è l'elaborazione di archivi dati (o, per
meglio dire, software) di gioco.
Assumendo, come ha fatto
la stessa Sony Computer Entertainment Europe Ltd., che la “consolle”
può essere utilizzata anche per finalità diverse dal videogioco, il
“modchip” viene a perdere la “prevalente” funzione elusiva
delle MTP, essendo un dispositivo destinato a facilitare l'uso
dell'elaboratore per finalità diverse da quelle videoludiche.
Il fatto che le
principali consolle di gioco non sono prodotte in territorio dell'UE
rende necessaria la corretta qualificazione di tali dispositivi da
parte delle imprese produttrici ai fini dell'applicazione del regime
tariffario doganale.
Indagando sul regime
tariffario doganale applicato è possibile stabilire con assoluta
certezza, in base a dichiarazioni ed esami tecnici resi dalle stesse
imprese produttrici, se una determinata consolle sia piuttosto un
personal computer che un videogioco, con le immaginabili conseguenze
in riferimento all'applicazione della norma penale.